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Letteratura Tesoro

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.

— attribuita erroneamente a Bertolt Brecht, in realtà del pastore Martin Niemöller (1892-1984)

5 risposte su “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari”

Strano che venga riportato questo testo narrativo.
Da tempo ho scoperto
che nel 2012 anche in un luogo e in un gruppo che credevo di amici,in cui le persone amano definirsi colte e con una formazione rigorosamente scientifica, le donne non possono essere considerate alla pari, non possono parlare, né possono manifestare il proprio pensiero o disagio e dissenso, sostenuto dai fatti, né controbattere, perchè si è semplicemente inascoltate come oche che starnazzano.
E se si insiste, si viene epurate.
E’ un’ epurazione sottile, perchè tu scrivi ma nessuno ti risponde, nessuno più ti chiama e nessuno ti telefona. Semplicemente ti rendono invisibile.
Se parli, si rivolgono al tuo uomo, perchè faccia le tue veci e renda conto delle tue parole o dei tuoi comportamenti ma non chiedono spiegazioni a te.Non comunicano direttamente con te.
Perchè tu sei una donna e una donna non vale nulla. Ti si banna “così non scassi più” o vieni riempita di bestemmie e alle tue mail non si dà risposta, nè un feedback, come se il tuo dire lo avessi lasciato al vento e ancora attribuendo a ciò che hai espresso l’ etichetta di insulto, per non vedere, non sentire e non capire quel che è accaduto, nè darvi peso.
In sostanza, la vittima viene spacciata per carnefice e così tutto sembra risolto.
Così tu che sei stata ferita ed esprimi l’ evidenza dei fatti e del sopruso a tuo carico,passi automaticamente dalla parte del torto e le gente del gruppo, poichè risulti ora scomoda, ti toglie di mezzo negandoti l’ attenzione.
In sostanza, è una forma di nazismo moderno, in cui il Capò, che si fa promotore delle leggi del branco, sceglie se farti vivere o se farti morire.E in sostanza ti uccide col silenzio. Con l’ ignavia. Col non considerare minimamente quanto continui a ripetere,perché in fondo dà fastidio ammettere le proprie mancanze e la propria violenza e chiedere scusa e allora è più facile tacciare per violento chi si difende e allora è più facile tacciare per pazzo chi fa notare i fatti.Bannarlo e riempirlo di bestemmie.
Così pensa di toglierti di mezzo.Di metterti a tacere , da brava bambina.
Si mette d’ accordo con gli altri che se ne fregano altamente, che ti si consideri una povera isterica, una perditempo che ha troppo tempo libero per pensare e che non ha nulla di meglio da fare che sentirsi offesa e ti si accusa subliminalmente che non hai “il coraggio” di passarci sopra, di dimenticare e di passare oltre, in virtù dell’ “armonia di gruppo” ( leggi: complicità maschile di branco) e che quindi la colpa è tua! Che devi migliorare…
MA questa non è cultura,non è civiltà, non è educazione e non è onestà intellettuale, non è democrazia, non è amicizia ma è solo una forma molto più subdola e becera di violenza.
Quella che nega il diritto di esprimersi con libertà e uguaglianza e di essere trattata alla pari, quindi anche il diritto di evidenziare una ferita a tuo carico, un comportamento disonesto, sbagliato, violento, a tuo carico.
Non c’è comunicazione ma silenzio vigliacco e ignavo. Per non esporsi.
Bannare un amico/a è una sorta di confino elegante, di esilio sottinteso, in una piccola stanzetta delle torture, per piccoli momenti di gloria e di piacere da parte di chi si ammanta per un attimo di luce dorata, impedendo agli altri di poter dire quanto è giusto.E di sottolineare la verità dei fatti e delle parole dette.E di chiedere giustizia.
Quindi non occorre andare alla ricerca delle storia dei lager per cogliere quelle forme di violenza e di discriminazione sottaciuta che sono presenti ad un centimetro dal nostro naso e che vengono sostenute e velate dal nostro silenzio e dal non voler vedere, nè sentire quanto accade sotto i nostri occhi alle persone che conosciamo bene.
MA è più facile fare letteratura…

Ci sono uomini che “amano” umiliare, deridere, offendere e a volte anche minacciare le donne che si prestano a questo. Mi spiego meglio: so di donne che hanno vissuto una vita di dipendenza dagli uomini ma soprattutto di dipendenza dalla vita; nel momento in cui queste donne hanno deciso di reagire per vivere una vita propria senza condizionamenti sociali, famigliari o altro hanno dovuto fare i conti con la vita stessa (e con gli uomini) che tutto d’un tratto divenne ostile. Personalmente per poter sostenere il mio pensiero spesso mi sono autobannata da sola, non pretendo la comprensione dagli altri, se sono nel giusto continuo per la mia strada. Forse un giorno dovrò anche ammettere di aver sbagliato ma per il momento questo è quello in cui credo fermamente. Non dipendere dagli altri può creare solitudine ma la libertà che si ha in cambio è infinita.
Certo mettere a rischio amicizie di una vita è doloroso e ci lascia con la sensazione del fallimento. Dagli amici ci si aspetta di essere capite o perlomeno ascoltate ed è una grande delusione quando ciò non avviene. Ma anche io Donna vivo la mia vita e devo essere “egoista” devo pretendere il meglio e per questo sono io la prima a bannare e a scegliere con chi stare altrimenti finisco io stessa (involontariamente) per umiliare, offendere o non ascoltare chi non riesce a capirmi.

…Ma anche io Donna vivo la mia vita e devo essere “egoista” devo pretendere il meglio e per questo sono io la prima a bannare e a scegliere con chi stare altrimenti finisco io stessa (involontariamente) per umiliare, offendere o non ascoltare chi non riesce a capirmi.

Concordo pienamente.
Aggiungo una breve dissertazione da “gallina vecchia che fa buon brodo”, su un altro modo di “ESSERE DONNA egoista”, su cui varrebbe la pena di riflettere.
Si presenta allo sguardo femminile attento e indipendente, come un fenomeno sociale sempreverde.

La gatta morta.

La gatta morta ha pochi pensieri, chiari, semplici. Nessuna dietrologia, nessuna complicazione.
Ha una chiara idea di quello che vuole, soprattutto. O di quello che rivuole indietro, nel caso la vita glielo abbia tolto o nel caso lei stessa abbia agito con poca lungimiranza- cosa che non ammetterebbe mai…ma che accade.
La sua arte consiste nell’ esprimere le proprie abilità seduttive ( particolari e più generali) e nell’ ottenere con esse,quello che desidera senza sforzarsi. Appoggiandosi agli altri, parlando poco o parlando solo per quel che è necessario a farsi al meglio ( o così crede…) i suoi affari. Certo, a volte capita che nella rete da pesca aperta, finisca qualche pesce azzurro, invece di qualche salmone e che anch’ essa debba accontentarsi-per un po’- di quel che la Provvidenza Le ha fornito.
Fa parte del gioco. Del gioco della vita, di una gatta morta..Saper essere nel posto giusto, al momento giusto.O saper aspettare.E le gatte morte sono molto pazienti e flemmatiche…e sanno aspettare, come aspettano le principesse sulla torre eburnea il loro guerriero salvatore e nel frattempo si accontentano, se la fanno passare in qualche modo.Gettando occhiate flautate ai passanti.
La gatta morta è un personaggio molto interessante da studiare…E’ un personaggio perché è vistosa e sfrutta le sue arti per esserlo, tanto alle 3 del mattino come alle 3 del pomeriggio. Niente è “per caso”, il trucco, le scarpe, l’ abbigliamento, qualche accessorio.Sa bene che il cervello maschile coglie certi segnali visivi, come un certo portamento, un fare gentile e semi-adorante verso qualsiasi essere bipede che puzzi di testosterone, i tacchi altissimi e Lei è una pescatrice esperta.Aspetta e intanto in silenzio getta la rete.
Non è bugiarda ma non è nemmeno sincera. Soprattutto non lo è con se stessa.Perché in fondo vivere gettando solo reti ed esche, aspettando che un pesce-maschio abbocchi e si zerbinizzi,cambiando lui per te la sua vita, per rendere la tua vita megliore 8 secondo i tuoi criteri, of course…), non è cosa facile e non è nemmeno appagante rispetto alle proprie eventuali competenze,essere tanto apparentemente passive,certo, ma intanto ci si agghinda a festa e si fa meno fatica.
La gatta morta dice quel tanto che basta per non dire troppo, né troppo poco. E soprattutto per “stare tranquilla”.In realtà,è la prima a mentire a se stessa, convincendosi che è meglio essere vistose che intelligenti, che è opportuno essere orgogliose che non scusarsi ed è meglio accontentarsi passivamente, che rimboccarsi le maniche…e si sa, che dopo un po’ il pesce pescato, se non è un pesce con vistose potenzialità di appoggio, puzza e ce ne vuole uno di nuovo…
E’ opportunista ma lo fa con gentilezza, quindi è difficile dirle di no. Non ha fiducia negli altri, è diffidente, d’altronde Lei stessa è la prima a non essere lineare e a dire solo quel che Le serve, delle mezze verità…ad essere incoerente,poco chiara, sfuggente, silenziosa,problematica, incostante… e perciò tende ad assere anche molto insicura rispetto a quello che gli altri le dicono o dicono a lei di fare,pensando, da vera stratega della pesca, che gli altri siano come Lei… con un linguaggio ad indovinello, multistratificato…quindi quando una cosa Le interessa, è molto pignola e fa molte domande per essere certa che tu non le stia nascondendo qualcosa di saliente…e che tu non voglia fregarla e ovviamente ha molte ombre, lunghe e corte, perchè l’ insicurezza è la medaglietta al bavero di chi agisce in tal modo con gli altri…
Ha in fondo una vita serena ,priva di grosse responsabilità,anche se non lo ammetterebbe mai…perché ha sempre quella che ritiene di avere un’ ottima giustificazione per scansare e riversare su altri le cose spiacevoli o difficili, gli oneri fastidiosi. Né mai sarebbe disposta ad ammettere i propri errori o mancanze, perché è troppo difficile…ma lo fa mantenendo una gentilezza di fondo e una fine sensibilità e un fare molto femminile che la rende graziosa, dolce e quasi fragile… e questo è un enorme vantaggio: il fatto di apparire come dipendente e bisognosa, in una sorta di perenne stato di necessità e di ricerca di accudimento ( che si esprime anche in un passaggio facile alla dimensione del contatto fisico, perché come le gatte lei le coccole le ama e ama prendersele tutte, anche se preferirebbe le fossero fatte da chi ha nel cuore…ma nella vita bisogna anche accontentarsi del pescato… ) fa sì che trovi sempre qualcuno ( il maschio di turno in calore o l’ amica benevola da contattare sempre e solo quando Le fa comodo, per poi sparire ma usare i vantaggi che i contatti con l’ amica le hanno procurato…leggi: sue relazioni, amicizie, conoscenze, suoi ex e quant’ altro possa essere utile…) che le dà una mano e la solleva da eventuali sforzi e responsabilità che sarebbe opportuno che lei prendesse in prima persona-se non altro per imparare davvero a gestirsi in modo autonomo e per imparare a vivere da vera donna, che è cosa diversa da gatta morta.
D’ altronde è anche vero, che senza relazioni d’ appoggio, la gatta morta sarebbe davvero morta…
Anche se questa è un’ arte…
Anche se ovviamente,a sentire parlare Lei, con sguardo lacrimevole da cucciolo abbandonato,è l’ unica Lei…ad avere davvero dei grossi problemi e una vita che non le ha mai permesso di potersi esprimere al meglio,a causa di altri, di parenti, di amici malevoli, di problemi di salute etc…etc… perciò in modo egocentrico si lamenta e continua a ripeterti i suoi problemi e a piangersi addosso ( senza agire, se non aiutata) per essere coccolata e consolata ma fa anche davvero tenerezza perchè lo fa in modo suadente e avvolgente e pervasivo, in un modo tale da costruire una atmosfera solipsistica così struggente e monotonale che Chiunque potrebbe riconoscere nelle gatta morta una qualche propria fragilità…magari di bambino/a.
Allora ecco che scatta la dimensione protettiva e assistenziale.
Sfruttare al massimo le situazioni che le capitano, a proprio vantaggio ( nel qui e ora), pare sia una delle sue competenze più sviluppate. Perché la vita è una questione di sopravvivenza e per sopravvivere lei ha bisogno di pescare nelle potenzialità altrui.
Ha le idee chiare su quello che vuole ma è in grado di realizzalo solo appoggiandosi agli altri, perciò deve saper valorizzare al massimo quello che può dare, senza perderne e senza troppi impicci e soprattutto senza troppi vincoli che le impedirebbero di sparire e sparigliare le carte al momento opportuno, per navigare nuove acque.
Non cerca in fondo una vita normale, soprattutto non cerca di rimboccarsi le maniche. Quindi una vita normale le va pur bene, se gliela creano gli altri…e nei termini che vuole lei.Come minimo, un appartamento con tre camere e due bagni, l’ abbonamento a palestra e piscina,per tenersi in forma,etc…etc…
Tutte le sue risorse sono concentrate sul proprio obiettivo di ottenere risultati senza troppa fatica e usando le uniche armi che in realtà possiede: manipolare con dolcezza e sedurre con persuasione.

La gatta morta rientra in una categoria che non si conosce mai abbstanza,nascosta e micidiale, soprattutto per l’ingenuità maschile. Prevalentemente si finge debole e insicura per accalappiare l’uomo di turno ma in realtà è assolutamente forte e determinata. Ha delle caratteristiche ben definite, non è mai scomposta, non mangia tanto, beve poco, è debole e insicura, ha fame, ha sonno, è in ritardo e non si scusa mai per esserlo , non si sente mai amata abbastanza e mai accettata a sufficienza ( leggi: mai abbstanza al centro dell’ attenzione. Sarà per questo che è famosa e ricordata e silurata da molti per i suoi memorabili ritardi di ore?),ha sempre duemila esigenze ma non se ne avvede perchè dà per scontato che vada bene a tutti così…e lo fa in maniera tale che l’uomo si adatti a lei e non viceversa. E’ la classica che non esprime mai un’opinione personale, è capace di adulare il proprio uomo e dirglielo ogni cinque minuti anche se non è così. In questo modo in parte lei è vincente, perché se invece una donna è indipendente, capace di essere una compagna, un’amica, una donna affettuosa ma più sincera, più dinamica e più dignitosa e indipendente,toglie l’ incantesimo dell’ amore maschile adolescenziale, quello senza tempo, in cui l’ uomo è il principe che salva la principessa sfortunata e bellissima e che è lì che lo attende e pensa solo a lui…In parte invece, è lei stessa, la gatta morta, vittima del suo gioco, per la propria incapacità di essere lineare, propositiva, sincera e coerente.Lei stessa in questo modo perde molte occasioni che la vita le offre e che lei nemmeno vede, perché non ha una prospettiva più ampia e perché non concepisce di rimboccarsi davvero le maniche, ricevendo anche qualche no…non concepisce di tirare fuori il proprio talento vero e di muoversi da sola nel mondo, senza colonne cui appoggiarsi.Il limite sta anche nella valutazione che la gatta morta fa di certe relazioni, che vengono considerate apparentemente “svantaggiose” nel qui e ora, per una pretesa di sincerità e coerenza o perchè pretendono qualcosa da lei…e che spesso nel lungo termine risultano ben più fruttuose di quelle scelte, in una visione quindi più lungimirante e meno uterina ed egocentrica, valutando bene le circostanze e le pedine in gioco.
Quindi la gatta morta non sempre è una vera gatta, perchè le gatte vere sono furbe e sanno gestirsi adeguatamente, in ogni contesto e con ogni persona.Perchè del domani non vi è mai certezza.
Scrive Chiara Moscardelli nel suo romanzo autoironico:
«L’arma vincente di noi donne comuni è essere noi stesse, coraggiose, oneste, intelligenti e ironiche come siamo, col rischio, certo, che la gatta morta di turno vinca ma alla fine gli uomini che stanno con le gatte morte sono quelli che se le meritano».

Aggiungo io: la vita non è solo: “getta le tue reti, buona pesca ci sarà” ma è anche un gioco a scacchi, in cui occorre essere choosy, come giocatore sei tu che scegli il gioco e al contempo sei l’ osservatore della partita che stai giocando e devi sapere quello che vuoi e gestirti di conseguenza, con grande responsabilità rispetto a te stesso e agli altri e questo è rispetto e rispetto delle regole:devi prevedere qual è il potenziale strategico globale ( all’ interno dell’ intera partita della vita) della mossa che stai facendo ora e di quali conseguenze comporta la tua mossa ( cosa ottieni e cosa perdi, rispetto al tuo progetto di vita e a ciò che vuoi veramente, sinceri con se stessi) , rispetto a tutti i pezzi in gioco e alla visione d’ insieme che è l’ oggi ma anche il domani ed è la sola cosa importante,che può realmente permetterti di vincere la partita, perché la partita la si gioca sempre oggi per domani,muovendosi assieme con molti pezzi,in collabor-azione onesta e sincera e avendo rispetto del valore di ognuno.Che è anche, in fondo, il modo cui si dà valore e visibilità a se stessi.
Allora, il gioco, il buon gioco, viene…
Sono certa che il brodo delle galline vecchie, coraggiose, oneste, intelligenti e ironiche sia molto più nutriente,a lungo termine, anche per i maschi in questione che cadono nelle reti, di un brodino di pesce incerto all’ acqua pazza .
Ma la vita insegna ad ognuno, quel che deve ancora imparare.

Debbo essere sincera: in fondo non farei a cambio.
Ma io stessa, donna, di fronte ad una altra donna,ad una gatta morta,
che non sa vivere diversamente
e non sa guardare alla vita con più coraggio e un po’ più di sincerità verso se stessa e di coerenza,
doti che alla fine io chiamo : dignità,
sento il sangue della vita che ribolle
e sento che è giusto e opportuno donarle almeno un po’ delle ceneri e della polvere
lasciate da una stirpe di donna guerriere.
Quelle cui appartengo.
In fondo, è un dovere morale.
E’ il sacro sangue femminino che chiama…per chi lo sa ascoltare.
E allora,che Le siano di buon auspicio, perciò, queste ceneri e questa polvere del mio passato…

Spero per Lei che non se le faccia bastare…
🙂

” Nel tuo diario scrivesti che libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro. Garantito ciò, tutto il resto ne consegue naturalmente.”.
“Sì.”
“E se il Partito dice che due più due fa cinque, allora quanto fa?”

Con queste parole il torturatore O’ Brien inculca a Winston Smith, il protagonista del capolavoro di George Orwell 1984, il concetto di bispensiero.
Oggi questo termine ci ricorda appunto il maestro indiscusso della fantapolitica, forse in assoluto l’autore più imponente del Novecento, ma non ci sembra avere alcun riscontro con la realtà dei fatti né ci sembra che lo possa mai acquisire. Non è così: a ben vedere l’esperienza ci dimostra proprio il contrario, non solo il ricordo dei totalitarismi più brutali e pervasivi della storia, ma anche, in una certa misura, la realtà che viviamo nelle democrazie occidentali.
Il meccanismo del bispensiero è al medesimo tempo contorto ed immediato nel suo spaventoso automatismo. Un individuo assiste ad un evento, ne è testimone, conosce una determinata realtà derivata da fatti per lui inconfutabili. D’un tratto la comunità in cui vive afferma che quella realtà non esiste, distrugge i documenti e le prove materiali dei fatti che il soggetto in questione ricorda in virtù di quanto ha visto, udito o appreso. Si dirà che, nonostante tutto, niente e nessuno possa sottrarre all’individuo la sua memoria. Al contrario: è proprio a questo punto che interviene il bispensiero. Sarebbe semplicistico e fuorviante affermare che l’individuo si limiti a mentire, a negare l’evidenza al fine di evitare la persecuzione e di ingraziarsi il favore della sua comunità pur sovvenendosi perfettamente di quanto viene negato. Il soggetto non mente: egli crede, sa che le cose sono andate diversamente rispetto a quanto sapeva anche solo il giorno prima. Ciò non significa che crede di essersi sbagliato perché sa anche di aver sempre saputo quella che ora considera la verità. Egli sa ciò che tutti gli altri naturalmente sanno. Il meccanismo mentale cui va incontro è complesso perché presuppone due momenti: un primo momento in cui ci si dimentica di ciò che si sapeva in precedenza e un secondo in cui si acquisisce la conoscenza di ciò che si sa allo stato attuale. Per farlo il soggetto non si limita a dimenticare, cosa che porterebbe ad una non conoscenza, ma compie una vera e propria ricostruzione di una realtà alternativa, attività necessariamente consapevole in quanto coincidente con le istruzioni impartite dalla comunità che lo circonda, e subito dopo si dimentica della stessa operazione effettuata. Il risultato è una convinzione cieca e assoluta nelle menzogne professate e l’assenza di ogni possibile rimorso di carattere morale. È una questione di allenamento: una volta ripetuta più volte l’operazione il processo diventa automatico e indolore, ogni remora mentale o morale svanisce, il soggetto acquisisce il controllo totale della sua mente e lo pone a disposizione della collettività. Tramite il bispensiero l’individuo può arrivare a negare l’evidenza, può accettare e professare a sua volta nozioni che contrastano con la sua logica, col suo buonsenso e con la sua stessa esperienza. Basta che gli si dica in cosa credere.

“Sei lento a imparare, Winston” disse O’Brien, con dolcezza.
“Ma come posso fare a meno…” borbottò Winston “come posso fare a meno di vedere quel che ho dinanzi agli occhi? Due e due fanno quattro.”.
“Qualche volta, Winston. Qualche volta fanno cinque. Qualche volta fanno tre. Qualche volta fanno quattro e cinque e tre nello stesso tempo. Devi sforzarti di più. Non è facile recuperare il senno.”.

Il bispensiero altro non è che l’estrema applicazione pratica del relativismo novecentesco, contrapposto al realismo gnoseologico che ha dominato la mentalità occidentale dai Greci fino al XIX secolo. Per l’uomo del Novecento non esiste una realtà strutturata ed autonoma al di fuori di sé. Per i realisti l’uomo può percepire e conoscere questa realtà tramite i suoi sensi e, una volta apprese le sue regole, può accettarle e sfruttarle a suo favore, ma non può pensare di modificarle. Viceversa per i relativisti non esiste realtà al di fuori di quella creata dal pensiero umano. Ammesso che la realtà creata dal singolo uomo è destinata a perire con esso l’unica possibile verità che sia eterna ed immutabile è quella creata e accettata dalla collettività.

“Se io credo di volare, Winston, e tu credi che io voli, io volo davvero.”
“Il singolo è solo una cellula. La verità non è nella mente del singolo, ma in quella del Partito, che è collettiva ed immortale.”.

Se questa realtà è immortale è anche immutabile? Così come la collettività crea la realtà, la può disfare e ricreare a suo piacimento, ma ognuna delle realtà che crea è eterna perché come tale viene pensata.
Jean-Pierre Vernant in Mito e pensiero presso i Greci (Einaudi 2001) sottolinea come per i Greci, i primi realisti gnoseologici, Mnemosyne, ovvero la Memoria, fosse una dea degna del massimo culto. Questo soprattutto nella società arcaica, ben prima che Aristotele la declassasse a semplice funzione mentale, in un tempo in cui all’oralità era affidato il ricordo del passato e in cui il rapsodo, l’aedo, il poeta era visto come un privilegiato dagli dei, un essere superiore. Il poeta per gli antichi non ha ricordi sbiaditi, grazie ad un superlativo esercizio della memoria riporta vivide alla sua mente le immagini del passato, del presente e anche del futuro. Egli può avere memoria dell’aldilà e del suo ritorno nel mondo, può espiare le colpe di tutte le sue vite precedenti e rompere il ciclo tirannico dell’Essere. La Memoria permette così di conquistare l’eternità superando la paura ancestrale di ogni essere umano: la soggezione al mutamento, al dolore e alla morte. L’analisi di Vernant trova riscontro, fra gli altri, nella filosofia di Empedocle (“io fui fanciullo e fanciulla, fui muto pesce del mare”), di Pitagora, per gli adepti del quale la memoria aveva proprio la funzione di espiazione e fuga descritta, di Platone, che racconta come anche l’ultimo degli schiavi possa, tramite l’anamnesi, sovvenirsi delle idee eterne ed immortali che gli hanno fatto compagnia nel mondo dell’Iperuranio, dal quale ogni uomo proviene. Nel mondo rovesciato di 1984, in cui il relativismo spiana la via al totalitarismo, non la memoria bensì l’oblio esercita la funzione di garantire l’immortalità, non al singolo uomo, bensì alla collettività, al Partito.

“Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.”.

Claro che sì?

http://www.youtube.com/watch?v=s4T4VCjm1to&feature=fvwrel

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