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Moto elettriche

Cosa ne pensi delle moto elettriche?

Ne consiglierei vivamente una al mio secondo peggior nemico. Al mio peggior nemico, la regalerei.

Beh, io parlo per quella che ho avuto io. Va tenuto presente (pero’ il venditore mi aveva visto, quando l’ho comprata) che ho un dislocamento *un tantino* superiore a quello dell’utilizzatore tipico. (Forse invece del motorino dovevo comprare un “muletto”). On the plus side, oltre all’aspetto fisico, ho anche il senso esteticodi un capodoglio spiaggiato: sicché l’estetica non era un problema. Il motorino era un accrocco da nerd sfigati. Mi parve subito bellissimo. A prezzo:  ‘sa vuoi, finanziamento, contributi, ecoincentivo… diciamo che dal punto di vista economico non mi son quasi accorto che lo stavo pagando. Comunque. Batterie zinco-aria perche’ erano migliori e tutto il lavoro fatto ammodino… autonomia del mezzo dichiarata 60 km. Reale, 18. OK, ripeto, li’ c’entrava parecchio la massa… magari… se perdessi quel quintale di troppo… Poco male, tanto in ufficio potevo ricaricarlo, quindi dieci km – alla fine – potevano bastare; ne avevo quasi il doppio. Almeno all’inizio. Pero’… quando piove il motorino o non si mette in moto oppure fa tre chilometri e poi si ferma, facendomi fare dell’ottimo moto: 2 km sotto la pioggia spingendo il motorino. Quando e’ freddo, o e’ umido, o e’ troppo secco, o e’ troppo caldo, la batteria o non si carica, o si scarica subito. Risultato: autobus. E alla fine dedussi (sperimentalmente) che il motorino funzionava male al di fuori di un range di condizioni atmosferiche del tipo:

Temperatura: da 19.2 a 19.4 °C
Umidità: da 40.6% a 41.2%
Vento: da 0 a 5 nodi, direzione sud-sud-ovest

Poi c’erano alcuni problemi col firmware. Ad esempio, dalle condizioni sopra riportate, e’ chiaro che il motorino era pensato per un ambiente domestico: andare dalla cucina al salotto, roba cosi’. E, dentro casa, mica ti preoccupi degli accessi non autorizzati. Invece, alla colonnina chiunque poteva (ad es.) ACCENDERE I FARI anche a chiave non inserita nel quadro. Senza la spina innestata, i fari non si accendevano: ma, con la spina innestata, il motorino pensava “Ecco, o sono in salotto o sono in cucina: sono al sicuro!” e si fidava. Purtroppo, col faro acceso, il carica-batteria controllava la corrente in ingresso, quella in uscita, non gli tornavano i conti e bloccava la ricarica. Tornavi alla colonnina, e il motorino era a secco. Autobus. M’e’ successo solo cinque o sei volte, pero’: cioe’ poco se si calcola che a una colonnina lo mettevo tutte le sante mattine e tutte le sante sere. E anche togliendo quel 25% del tempo che era in officina per una riparazione o l’altra, il 75% di un anno e mezzo e’ tanta roba. Poi, all’epoca, c’era un problema: troppi motorini per le colonnine in funzione. Oggi, col progresso, la gente i motorini elettrici col cazzo che li compra, e quindi (anche se le colonnine sono la meta’ di cinque anni fa (le carcasse delle colonnine sono sempre le stesse, ma io dico le colonnine funzionanti)), il posto lo trovi sempre con facilita’. Ma all’epoca era un dramma. La gente risolveva con educazione e senso di responsabilita’: arrivava alla colonnina, sbarbava una spina a casaccio e infilava la propria. Per risolvere questo problema – irregolarmente – munii il mio motorino di un adattatore a tre vie. Cosi’ bastava che il nuovo arrivato invece che staccarmi la spina si attaccasse al mio adattatore. L’idea piacque! Infatti mi involarono sei o sette adattatori prima che decidessi di saldarlo alla spina con l’epossidico, rimettendoci cavo e spina quando qualcuno non volle convincersi che quell’adattatore nuovo di pacca non se lo poteva fregare staccandolo gentilmente. Chissa’ che avra’ pensato di uno cosi’ avaro da incollare un adattatore alla spina per non farselo fregare (non lo taglio’, eh: ma sforzando la spina, il cavo si sfilaccio’ e la spina si ruppe). Ma queste erano sfighe per cosi’ dire collaterali. In aggiunta al buon esercizio fisico di spingere motorino e modernissime batterie a zinco-aria, c’erano gli imprevisti, stile Monopoli. Per es., in discesa un po’ viva, il freno motore si sovraccarica – non sono sicuro che fosse quello il motivo! – e stacca. Per fortuna, avevo anche i freni “a ganascia”, ma per un momento mi preoccupai. Per es., un giorno di pioggia vado a staccare il motorino alla colonna di piazza San Marco, e scopro tre cose: una che la colonnina non aveva un differenziale funzionante; due che avvitando il blocchetto di luci, frecce e acceleratore (aveva un interruttore “TARTARUGA/LEPRE”, il mio motorino. In modalita’ tartaruga andava a 15 km/h ma la batteria aveva una durata immensa, anche venti chilometri se ne facevo dieci tutti in discesa. In modalità lepre viaggiava veloce quasi quanto una bici, ma, ovviamente, dopo otto-nove chilometri si fermava. Non ricordo pero’ se questo succedeva col primo pacco batterie, o col secondo, oppure anche col terzo), avvitandolo dicevo con una vite auto-filettante, quella si era auto-filettata fin dentro a un cavo che in qualche modo portava lafase del 220V. La terza cosa, fu che ero uno stronzo ingrato. Voglio dire: il Bambino Gesu’ mi aveva tenuto la sua manina sul capo; e, nonostante una sleppa a dueevventi che m’aveva tirato in terra, ero sano e privo di danni; o il Bambino Gesu’ oppure Santa Maria Vergine Santissima. Ero pure tutto bagnato, sarei dovuto rimanerci attaccato e morire li’. E invece no, e tutto grazie alla Madonnina, al Bambin Gesu’ e a PADREPIO (àme). Avrei dovuto ringraziare. E invece! Dice la statua in mezzo alla piazza si turava le orecchie per non sentirmi. Non so se sia vero, avevo altre cose per la testa in quel momento, tipo “Quali santi ho lasciato fuori? Non vorrei fare un torto a nessuno”. Ed ero pure davanti alla chiesa. Mi ricordo che intorno alla lettera Q – San Quirico – usci’ il parroco, ma mi fece un sorriso comprensivo. O era un santo, o era sordo. O forse aveva anche lui un motorino elettrico.

Alla fine, cercai di ricattare l’azienda costruttrice (non ne faro’ il nome a scanso di querele). Gli dissi che, se non si fossero ripresi il motorino rendendomi tutti i soldi, io il motorino me lo sarei tenuto. Lo so, lo so: sembra una minaccia ridicola. Ma pensateci bene su. Non mi risposero: e io misi in atto il mio proposito! Usai il motorino il piu’ possibile. Anda e rianda ufficio e universita’. Ogni tanto, un collega mi diceva “Gaaanzo! Un motorino elettrico!”: al che, io glielo imprestavo per un po’. All’Universita’ la cosa era particolarmente feroce, perche’ e’ in cima a un colle. Allontanarsi era molto, molto facile. Tutta discesa. Ma la salita me l’ero gia’ giocata arrivando la mattina: per tornare su, due volte su tre c’era bisogno del “rinforzino”… un centinaio di metri a spinta. In salita. E le batterie zinco-aria sono avanzatissime, pesano meno di quelle piombo-acido, ma pur sempre uno stonfo. In genere, due ore bastavano a farmi segnare una tacca sul parabrezza, “E un altro cliente perso per sempre. Tie’!”. Quelli proprio ecologici ecologici, i fanatici che per il green ammazzerebbero la su’ mamma, ci voleva anche uno o due giorni. Una ristretta minoranza, dopo, manifestava il desiderio di un motorino che funzionasse a bambini morti, idrocarburi pesanti e gas nervino. Si Trattava in genere di quelli che – dopo avere fatto due ore di ritardo per caricare il motorino in via Vittorio Emanuele – avevano dovuto poi comunque applicare il “rinforzino”, arrivando in vetta sudati marci. Alla fine, li convincevo *tutti*. Beh, non che possa assumermene il merito, sia chiaro: quando uno ha lo strumento adatto, tutto sembra facile. E io l’avevo. Ne ricordo uno in particolare (mi pare un assistente del prof. Becchi, ma non ci giurerei): aveva la macchina a metano, e faceva chilometri a piedi per smaltire la carta. Li’ ne uscii male: mi tocco’ mandarlo dal venditore a provare un altro motorino, poi un terzo, e forse un quarto di un’altra marca. Poveraccio! Alla fine, quasi piangeva. Quando lo vidi proprio a terra, depresso, e gli tirai la coltellata finale (“E poi, sai, ora come ora,le batterie piu’ tozze… come dire… vanno anche smaltite, de’”), mi dovetti fare forza. Alla fine – sono un tipo strano – lo eliminai. Potevo rivenderlo… o, forse, no… pero’ decisi che era piu’ conveniente smaltirlo spendendo qualche altro soldo. Se ci avessi ripreso… che so, 500 euro, essendo l’essere umano quello che e’ (e io anche), dopo qualche anno magari mi sarei potuto illudere che no, non era stata una inculata spaventevole, ma solo un’abboccata, un’uccellata volante. E avrei potuto ricascarci. Ma non recuperando quei 500 EUR (molto ipotetici!), invece, mi sarebbe rimasta solo la memoria d’una inculata devastante, tale da incidersi a fondo e permanentemente nella memoria, e togliermi cosi’ per sempre l’idea di ricomprarmi mai un motorino, un’auto, o qualsiasi mezzo il cui funzionamento dipendesse in tutto o in parte da un motore elettrico. Una simile vaccinazione valeva i 500 EUR? Ma hai voglia te! Da allora, m’hanno contattato una dozzina di volte fabbricanti di mezzi elettrici i piu’ vari (devo essere finito in qualche database). L’esperienza che ho fatto mi consente di immettere così tanto significato nel “Hm.” con cui rispondo, che (di solito) aggiungono precipitosamente “…ma credo di aver sbagliato numero, mi scusi, arrived*click*”.

1 risposta su “Moto elettriche”

OMMIODDIOOOOO… ho trovato questo blog navigando in internet alla ricerca di info sugli scooter elettrici… al di là del fatto che mi è passata la voglia, confesso di non avere mai riso tanto in vita mia!
Complimenti per l’ironia. Bravo davvero.

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